Una benedizione dal basso
14 marzo 2013. Un primo commento a caldo di d. Enrico Brancozzi, docente di Teologia dogmatica presso l’Istituto Teologico Marchigiano di Fermo.
Il breve saluto del papa appena eletto dalla loggia delle benedizioni è una consuetudine recente, a cui è difficile attribuire un valore programmatico. Tuttavia, le parole e i gesti di Bergoglio rappresentano qualcosa di più di un semplice discorso di circostanza.Un primo livello del suo messaggio credo stia nelle preghiere popolari che ha invitato a recitare. La fede è il paradosso di un evento semplice e incommensurabile allo stesso tempo. È l’amicizia con il Signore, una relazione accessibile a tutti, che solo successivamente pone interrogativi che chiamano in causa l’intelletto umano.Un secondo livello è più contenutistico. Innanzitutto, papa Francesco si è presentato come vescovo di Roma, precisando che il conclave aveva propriamente questo compito; ha salutato la comunità diocesana di Roma venuta ad accoglierlo (sapendo che la folla di Piazza San Pietro verosimilmente solo in minima parte era composta da romani); ha ricordato il vescovo emerito Benedetto XVI; ha precisato che la chiesa di Roma presiede nella carità la chiesa universale; ha fatto un riferimento alle chiese locali; e quasi a suggello di questa impostazione, ha chiamato in causa, insolitamente, il cardinale vicario (non il segretario di stato, né i collaboratori della curia); ha parlato dell’evangelizzazione di questa «bella città». Insomma, una piccola lezione di ecclesiologia conciliare: è evidente che Francesco non si sia presentato come Romano Pontefice, bensì appunto come pastore della chiesa locale romana. Avrà voluto dire che concepisce il suo ministero primariamente come quello di un vescovo tra gli altri e non nella linea della supervisione della chiesa universale? Avrà voluto richiamare la centralità delle chiese locali, cioè delle diocesi, espressa in modo luminoso in Lumen gentium 23?Inoltre, Francesco ha voluto richiamare la comunione necessaria tra vescovo e popolo, tra vescovo di Roma e gli altri vescovi, e ha parlato di un cammino di tutta la chiesa (qui anche universale) fatto di fratellanza, fiducia e amore. E a questo punto ha fatto un gesto inusuale, ma teologicamente densissimo: ha chiesto la preghiera dei fedeli per poter essere riempito dello Spirito Santo e poter poi a sua volta benedire l’assemblea. Giovanni XXIII, il giorno dell’apertura del Vaticano II, aveva detto in modo sconvolgente che la persona del papa «conta niente»: è una voce sola che riassume tutte le altre e riceve, in un certo senso, dalle altre il suo valore e il suo significato. Papa Francesco ha fatto qualcosa di simile: si è chinato come per essere ricolmato della presenza di Dio, esattamente come Maria, che è grande solo perché Dio l’ha riempita della grazia. Il punto è che il papa ha presentato questa intercessione non in modo verticale, bensì orizzontale, anzi, dal basso. È il popolo che prega sul pastore. Avrà voluto dire che occorre un ripensamento del ministero in senso meno sacrale e più ecclesiale?Infine, c’è un ultimo richiamo conciliare: la benedizione a tutti gli uomini e donne di buona volontà, linguaggio che ultimamente sembrava irenista e un po’ pusillanime. Avrà voluto dire che il concilio è ancora davanti a noi e una buona bussola per chi vuole orientarsi nella fede?
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