16 febbraio 2014. Oggi ci siamo ritrovati in parrocchia per un incontro un po’ diverso dal solito. Sull’esempio di quanto fatto dai ragazzi del Movimento Diocesano, anche i genitori hanno provato a fare “fagotto”, a condividere il superfluo per metterlo in comune e sopperire alla necessità dei più bisognosi. Molti gli indumenti arrivati, come pure oggetti per la cucina, scarpe, una sedia ergonomica, uno scanner, un passeggino, ecc…
Insieme abbiamo riflettuto sulla necessità di una nuova cultura del dare. Abbiamo riletto le parole forti del Papa nella sua Evangelii Gaudium con cui dice «no ad un’economia dell’esclusione e della inequità» (n. 53) per cui: «Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo» (n. 54).
A questa cultura egoistica e del superfluo va opposta una cultura che riscopra il primato dell’essere sull’avere e il valore del dare che si apre alla condivisone e comunione dei beni. Tale idea, nei secoli passati, era considerata appannaggio sopratutto di ordini religiosi e istituti, che si fondavano sul voto della povertà. Nel secolo scorso, sono stati tanti laici a riscoprire il valore evangelico della comunione dei beni, sul modello dei primi cristiani, e a proporre nuove forme di condivisone dei beni e di solidarietà concreta.
In tale senso, anche l’esperienza del Movimento dei Focolari del fagotto può offrire un contributo semplice e significativo. Si tratta della messa in comune di oggetti che non usiamo più, ma che sono in buono stato, per metterli in comune, a disposizione degli altri. Nasce uno scambio proficuo, che attiva la carità e viene incontro alle necessità gli uni degli altri. Scriveva Chiara Lubich nel 1992: «Dare quello che abbiamo in sovrappiù o anche il necessario, se così ci suggerisce il cuore. Dare a chi non ha, sapendo che questo modo di impiegare le nostre cose rende un interesse smisurato, perché il nostro dare apre le mani di Dio ed egli, nella sua Provvidenza, ci riempie sovrabbondantissimamente per poter dare ancora e ricevere di nuovo e così poter venire incontro alle smisurate necessità di tutti». Ma cosa possiamo dare? «Diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra disponibilità; diamo le nostre esperienze, le capacità». E nel ’95 affermava: «Se tutti vivessero il Vangelo, i grandi problemi nel mondo non esisterebbero, perché il Padre del Cielo interverrebbe a realizzare la promessa di Gesù: “… vi sarà dato”».
Infine, abbiamo ricordato le parole di san Basilio, che già nei primi secoli della chiesa affermava: «All’affamato appartiene il pane che metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli; agli indigenti il denaro che tieni nascosto», mentre san Tommaso d’Aquino scriveva: «Quando i ricchi consumano per i loro fini personali il sovrappiù necessario alla sussistenza dei poveri, essi li derubano».
Al termine della riflessione, in un clima di famiglia e di semplicità, tutti si sono avvicinati ai tavoli con le cose portate e diversi hanno trovato cose interessanti e utili, per loro o per famiglie che sapevano essere nel bisogno. Molto è rimasto. Quanto raccolto sarà portato al Samaritano di Porto S. Elpidio per essere ridistribuito per i poveri della città.